martedì 25 maggio 2010

IL TRAUMA BELLICO SUI BAMBINI. AL CENTRO BENEDETTA D’INTINO LO PSICOLOGO ISRAELIANO ZVI FAJERMAN


(a cura di Pietro Cobor)

Milano – Nel suo capolavoro “I Fratelli Karamazov”, Dostoevskij faceva proclamare al terribile Ivan Karamazov: “...che c’entrano i bambini, perché devono soffrire?...”.

Presso il “Centro Benedetta D’Intino onlus” di via Sercognani 17 a Milano si è svolto un interessante seminario sul tema “Bambini e madri: gli effetti del trauma in tempo di guerra”, nell’ambito delle Riflessioni psicoanalitiche “Bambini sul confine- Abitare la propria identità in situazioni drammatiche” patrocinate dal Comune di Milano e dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Nella presentazione dell’iniziativa, si ricorda che “Un secolo fa Freud tratteggiò il conflitto che si genera nel contatto tra il mondo esterno e la realtà interna che ciascuno di noi, adulto o bambino, vive. La psicoanalisi offre un filo rosso per dare significato alle differenti declinazioni di questo conflitto ed alle rischiose conseguenze che da esso possono scaturire, in grado di interferire con lo sviluppo del pensiero dell’individuo. Nei seminari proposti dal Centro Benedetta D’Intino, gli psicoanalisti si interrogano a vari livelli sulla costruzione dell’identità e dialogano con magistrati esperti di diritto minorile e di famiglia e con chi si occupa di situazioni di trauma.

Un importante contributo al dibattito è stato portato dall’israeliano Zvi Fajerman, psicologo clinico, psicoanalista e Direttore del Centro di Servizi Psicologici “Shaar Hanegev” – Israele, il quale ha operato anche sulla Striscia di Gaza.

Nel suo intervento al seminario milanese, intitolato “attraverso il volto della madre. I bambini, le loro madri e l’esperienza della guerra”, Fajerman ha descritto l’atroce condizione dei piccoli che devono sopportare il trauma bellico.

“Le reciproche reazioni delle madri e dei loro bambini di fronte alla schiacciante esperienza della guerra, rimanda alle prime modalità utilizzate per fronteggiare le angosce primitive”, afferma lo psicologo israeliano. “Gli studi di Esther Bick e Frances Tustin sui primi stadi dello sviluppo della mente ci hanno permesso di considerare queste reazioni come riconducibili alla rottura dell'involucro mentale che racchiude e protegge il senso di Sé. Essere sotto la continua minaccia del fuoco, delle esplosioni dei missili, produce questo tipo di lacerazione. E' una reazione acuta e prolungata, simile alla sensazione violenta, traumatica che può avere il bambino piccolo quando viene spogliato e calato nella vasca da bagno e in questi brevi istanti ha l'impressione che nessuno lo stia sorreggendo. Trema, rabbrividisce, il suo viso si contrae per la paura e piange disperatamente comunicando in questo modo tutta la propria angoscia, oppure si aggrappa con lo sguardo ad una luce sopra di sé creando per quegli infiniti interminabili attimi una sorta di ‘seconda pelle’ ,che gli permetta di sperimentare, almeno momentaneamente un senso di coesione e contenimento che vada a colmare il suo perduto senso di unità e continuità. Ma quando si sente un allarme e il fischio di una bomba e il fragore di una esplosione a distanza, come può il neonato sapere di stare vivendo una situazione estremamente pericolosa? Senza ombra di dubbio, il piccolo percepisce il senso di pericolo dall' esterno attraverso la reazione della madre. La madre infatti riflette la realtà per il suo bambino così come lei stessa la vive”.

L’intervento di Fajerman è stato introdotto da Fiamma Buranelli, medico psicoterapeuta del Centro Benedetta D’Intino, preceduta dall'apertura lavori di Cristina Mondadori, medico psicoterapeuta e Presidente del Centro Benedetta D’Intino. (Omniapress-25.05.2010)