
(a cura di Pietro Cobor)
Milano - All'Università Cattolica di Milano si è svolto oggi il convegno intitolato: "Per un'integrazione possibile", alla presenza del ministro dell'Interno Roberto Maroni. Nel corso dell'evento è stata presentata un'importante ricerca: "Per un’integrazione possibile: processi migratori e periferie urbane", diretta e illustrata dal prof. Vincenzo Cesareo dell'Universita' Cattolica.
L'indagine - ha spiegato Cesareo - è nata dall’esigenza di dare una risposta all’interrogativo: le nostre periferie urbane possono dar luogo a eventi quali quelli delle banlieues francesi? C’è da chiederci: sussiste la possibilità che le rivolte francesi – mutatis mutandi - possano predire eventi simili nelle realtà delle periferie italiane, anch’esse spesso contenitori di malessere e disagio sociale?
Senza arrivare a sostenere che le “patologie sociali” si concentrano unicamente nelle aree periferiche della città, si può ritenere che in questi contesti anche i problemi relativi alla sicurezza siano più rilevanti e presentino modalità che vanno considerate con attenzione. Si tratta di aree deboli, nelle quali si insediano popolazioni portatrici di disagio sociale, immigrate ma anche non immigrate, dove spesso le infrastrutture e i servizi pubblici sono carenti e dove si registrano forme di deprivazione socio-culturale e di criminalità piuttosto diffusa.
Proprio per tali elementi queste aree periferiche possano configurarsi come veri e propri incubatori non solo di devianza ma anche di xenofobia e di mixofobia, intesa quest’ultima come paura che gli individui avvertono, nel proprio contesto abituale, quando si trovano a contatto con la diversità. Questa paura di mescolarsi con gli altri, di vivere e condividere gli spazi con il “diverso” può dar vita a pericolose tendenze segregazionistiche.
Scopo finale dell’intera ricerca è l’acquisizione delle conoscenze necessarie ad affrontare la problematica situazione delle periferie italiane e a mettere quindi in luce possibili misure di contrasto e di prevenzione. Il raggiungimento di questo obiettivo, perseguito lungo tutto il percorso di ricerca, ha richiesto anche la raccolta di testimonianze “esperte”, di persone cioè che per conoscenza o per funzione svolta nelle amministrazioni pubbliche o nelle organizzazioni private e del terzo settore, hanno affrontato i temi dell’immigrazione, delle periferie, della criminalità.
Gli studiosi e i ricercatori che hanno collaborato alla realizzazione di questo lavoro sono:Rita Bichi, Giancarlo Blangiardo, Ennio Codini, Marco Lombardi, Ernesto Savona, Enrico Tacchi, Giovanni Giulio Valtolina.
La ricerca ha consentito di individuare e di approfondire i fattori di malessere delle periferie urbane che si sono acutizzati anche a seguito del consistente e rapido impatto delle migrazioni a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.
In effetti l’immigrazione rappresenta una sorta di cartina di tornasole di problemi, spesso già esistenti, in quanto tende a enfatizzarli e a evidenziarli. Ciò riguarda emblematicamente il disagio urbano che spesso preesiste alla stessa immigrazione ma che si acutizza anche a seguito dell’arrivo di cittadini provenienti da paesi a alta pressione migratoria. Inoltre, riscontri empirici, riguardanti anche il nostro Paese, dimostrano che, nei contesti in cui i flussi migratori sono elevati e avvengono in tempi brevi, il processo di integrazione risulta relativamente più complesso sia per gli immigrati sia per i cittadini già residenti.
Poiché gli immigrati, per evidenti ragioni soprattutto di ordine economico, tendono a concentrarsi, per il loro insediamento abitativo, nelle periferie e in aree urbane anche centrali ma degradate, ne consegue che proprio in questi quartieri l’integrazione diventa più problematica.
Alla luce di queste considerazioni si può quindi sostenere che l’immigrazione: a) fa emergere e acutizza problemi spesso già esistenti nelle periferie urbane; b) in termini di integrazione, si registrano non poche difficoltà soprattutto perché gli immigrati, in un breve arco temporale, si insediano prevalentemente nelle aree deboli urbane.
Secondola ricerca, le periferie ovvero le aree deboli delle nostre città – presentano criticità tali da poter prefigurare che in esse possono verificarsi delle rivolte del tipo di quelle scoppiate nelle banlieues francesi? I principali fattori ritenuti causa di queste rivolte sono senz’altro buoni predittori di questo fenomeno: situazioni familiari disagiate, insuccesso scolastico, disoccupazione, bande giovanili, segregazione spaziale, condizioni di vita in agglomerati urbani come quelli delle banlieues, rivendicazione di una piena integrazione nella società francese pur nella preservazione delle radici culturali e religiose d’origine. Sinteticamente, con riferimento alla Francia, i tre fattori principali sono: il degrado sociale, la mancanza di prospettive e la scarsa attenzione da parte delle istituzioni.
I riscontri empirici emersi dalla nostra ricerca inducono a evidenziare le peculiarità italiane rispetto a questo quadro e a rispondere negativamente alla nostra domanda, almeno per ora. Infatti il disagio e il malessere non sono attualmente tali da far ritenere che nelle nostre periferie sussistano i presupposti che possono generare fenomeni paragonabili a quelli francesi. In primo luogo perché l’espansione delle periferie italiane intorno alle grandi città non ha seguito lo stesso percorso e l’immigrazione ha trovato varie e differenti forme di radicamento sul territorio. In secondo luogo perché in Italia la questione dell’integrazione culturale non si pone ancora nei termini cruciali nei quali si è posta oltralpe. Inoltre, il degrado e l’immigrazione in Italia – pur tendendo a cumularsi - non sembrano ancora coincidere: gli immigrati vivono più spesso nel degrado abitativo ma hanno un accesso al lavoro, seppur non raramente precario, che la prima generazione accetta comunque, perché in ogni caso migliore della condizione nella quale viveva nel paese d’origine. Peraltro, la crisi economica che il mondo sta affrontando forse modificherà anche in Italia questa situazione, con esiti che non è possibile attualmente prevedere.
A fronte di questa possibilità di un qualche tipo di accesso al mondo del lavoro, la seconda generazione di immigrati non ha ancora, in Italia, le dimensioni che assume nella società francese e, di fatto, sta cominciando a formarsi proprio in questi anni. Se quindi, almeno finora, non si possono assimilare le tensioni verificatesi nelle periferie urbane italiane a quelle delle banlieues francesi, non va però escluso che ciò possa avvenire nel futuro. Le criticità, che la ricerca ha evidenziato, sono infatti tali da non essere sottovalutate. Queste criticità esigono piuttosto di mettere in atto per tempo degli interventi in grado di rimuoverle o quanto meno di ridurle e quindi di contrastare l’emergere e il diffondersi di conflitti, a partire da quelli latenti, senza cioè aspettare che diventino manifesti.
Perché le nostre periferie e, più in generale, le nostre città non producano patologie simili a quelle delle rivolte delle banlieues, emerge la necessità di identificare e di mettere in atto tempestivamente una serie di interventi che possano far sì che le situazioni critiche non degenerino. Nel corso della ricerca sono emerse alcune indicazioni che qui brevemente espongo, a conclusione del mio intervento. L’esperienza francese, e non solo francese, ci insegna che le aree deboli, e più in generale i quartieri cittadini, devono essere luoghi di interazione, di attività collettive, di comunicazione e di scambio. La loro vita è costruita dalle persone che vi abitano e che debbono trovarvi le opportunità necessarie allo sviluppo di un’appartenenza comune, pilastro sul quale si può costruire una pacifica convivenza. I quartieri devono pertanto essere, o tornare a essere, riferimenti identitari per le popolazioni residenti, cioè dei “luoghi” e non dei “non-luoghi”. Per far fronte al disagio sociale, culturale e abitativo delle nostre periferie, occorre quindi predisporre interventi finalizzati a riqualificare le aree degradate, a ridurre l’affollamento abitativo, a fornire servizi efficienti, ad assicurare un adeguato controllo del territorio. In particolare:
1. è un dato di fatto che il degrado genera altro degrado: la famosa teoria delle “finestre rotte” viene confermata anche da questa ricerca. Ciò comporta la necessità di interventi solleciti ed efficaci al fine di prevenire e contenere pericolose derive. Seppur necessario, mettere in atto iniziative di riqualificazione si rivela insufficiente se non si assicura la gestione nel tempo del dopo-riqualificazione;
2. l’affollamento abitativo è fonte di tensioni e conflitti, genera condizioni igieniche precarie e difficoltà di convivenza. È quindi necessario gestire, anche in termini di sostenibilità, la collocazione delle nuove popolazioni immigrate sui singoli territori, per contrastare la concentrazione eccessiva di popolazione proveniente dai Paesi a forte pressione migratoria;
3. l’esistenza di servizi adeguati costituisce un ulteriore elemento di contrasto al disagio;
4. per assicurare il controllo del territorio, non basta la presenza capillare delle Forze dell’ordine ma è necessaria anche la responsabilizzazione di coloro che abitano in esso, chiamati a essere protagonisti attivi della vita del luogo nel quale vivono;
5. è necessario assicurare l’osservanza delle regole da parte di tutti coloro che vivono su un determinato territorio, anche tramite iniziative finalizzate all’acquisizione e alla condivisione delle regole stesse;
6. è necessaria una maggiore collaborazione e un miglior coordinamento tra le istituzioni, pur nella salvaguardia della loro autonomia. Una migliore conoscenza delle molte iniziative consentirebbe di fare emergere e di valorizzare le “buone pratiche”;
7. è auspicabile la promozione di forme di sussidiarietà orizzontale, la valorizzazione delle risorse presenti capillarmente sul territorio, spesso in grado di agire non solo nell’ambito socio-assistenziale ma anche in quello culturale, poiché operano soprattutto attraverso relazioni sociali informali e non solamente attraverso meccanismi istituzionali ufficiali;
8. allo scopo di assicurare un’efficace prevenzione, appare infine opportuno mettere in atto un monitoraggio dei fattori di rischio in aree urbane sensibili e comunque potenzialmente sedi di tensioni e di conflitti. Queste stesse aree, opportunamente scelte, possono diventare dei veri e propri laboratori di intervento sociale in cui sperimentare delle buone pratiche per favorire i processi di integrazione e migliorare la sicurezza urbana.(Omniapress-10.05.2010)