Milano (Marisa de Moliner)- La malattia di Crohn (MC) e la colite
ulcerosa (CU) sono patologie Croniche con un pesante
impatto sulla vita quotidiana dei pazienti, spesso giovani e in piena attività
lavorativa. Questo però non è l'unico problema, a oltre un quarto di loro non
vengono somministrati i farmaci
biologici nonostante ne abbiano tutti i requisiti,non possano assumere steroidi
a causa della mancata risposta o perchè intolleranti o dipendenti e siano
affetti da patologia MC/
CU in riacutizzazione severa, o malattia di Crohn estesa e con prognosi
sfavorevole.
Ad accendere i riflettori sul sotto-trattamento con biologici delle
Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, meglio note come MICI, è una
ricerca realizzata da CliCon - Health, Economics & Outcome Research (società
specializzata in progetti di ricerca ed analisi dei dati in ambito sanitario)
presentato in un evento in streaming promosso dal Gruppo Italiano per le
Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (IG-IBD) e dal Gruppo italiano
biosimilari (IBG) di EGUALIA (l’organo di rappresentanza dell’industria dei
farmaci equivalenti, biosimilari e value added in Italia) - sponsor dello
studio - con la partecipazione dell’associazione di pazienti Amici Onlus,
presente il Sottosegretario di Stato alla Salute, senatore Pierpaolo Sileri.
«Il tema del sottotrattamento è un argomento noto - ha detto Sileri - il
punto di partenza per affrontarlo, per qualsiasi patologia, è partire da quanti
pazienti sono da trattare, creando ad esempio un registro. Poi è necessario
lavorare a stretto contatto con le società scientifiche e le associazioni, e -
perché no - anche le aziende, per creare adeguati percorsi, puntando su
ricerca, formazione e programmazione. Su
questi temi sarà istituito a stretto giro un tavolo di lavoro al ministero
della Salute che lavorerà a stretto contatto con l'Intergruppo parlamentare
sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, nato a fine marzo e promosso
dall'Associazione AMICI Onlus: servirà a convogliare sulla parte politica e
istituzionale tutte le richieste emerse a livello nazionale attorne a questa
tematica».
A tracciare il quadro epidemiologico nazionale di riferimento è stato
Alessandro Armuzzi, Responsabile Comitato Educazionale IG-IBD: «Le MICI
colpiscono in Italia circa 250 mila persone, con una incidenza e prevalenza
medio alta e un picco di insorgenza è in età giovane adulta, tra i 20 e i 30
anni (20% i casi diagnosticati in età pediatrica) - ha spiegato -. Sono
malattie croniche, che alternano remissione e riacutizzazione, determinando in
alcuni casi manifestazioni extra intestinali, quali artriti, patologie
infiammatorie cutanee, oculari o epatiche. Il tutto in una fase della vita in
cui l’individuo è pienamente in attività e produttivo». Per quanto riguarda le
terapie, ha spiegato ancora Armuzzi «si cerca di utilizzare i farmaci “on
time”, intervenendo tempestivamente per alleviare i sintomi e ridurre la
progressione del danno intestinale. In linea generale le principali terapie
farmacologiche sono i salicilati, i cortisonici, gli immunosoppressori, e
terapie “avanzate” come i farmaci biologici e le “small molecules”. I farmaci
biologici e biosimilari svolgono un ruolo molto importante nella gestione del
paziente affetto da MICI: quando utilizzati, hanno il vantaggio di portare ad
una veloce e immediata attenuazione, se non scomparsa, dei sintomi e ad una
cosiddetta “guarigione mucosale” delle ulcere».
Nonostante il riconoscimento dei benefici prodotti le terapie biologiche
sono ancora ampiamente sottoutilizzate per queste patologie, come dimostrato
dai risultati della ricerca realizzata da CliCon, cuore dell’evento.
«Ci siamo dati come obiettivo quello di stimare la quota di pazienti
affetti da malattia di Crohn (MC) o colite ulcerosa (CU) eleggibili alla
terapia biologica nel contesto della pratica clinica italiana», ha spiegato
l’economista Luca Degli Esposti (CliCon), coordinatore dello studio
commissionato dal Gruppo italiano biosimilari di Egualia. «Abbiamo realizzato
una analisi retrospettiva basata sui flussi amministrativi, cosiddetti
real-world data, di un campione rappresentativo di Aziende Sanitarie Locali
(ASL) distribuite in tutta Italia, per una popolazione di 6,8 milioni di
cittadini, includendo tutti i pazienti con diagnosi di MC o CU a partire dal
2010 - ha proseguito. Dei 26.781 pazienti con diagnosi di MC o CU individuati,
3.125 (11,7%) sono risultati già in trattamento con un agente biologico. Per
gli altri, i pazienti non trattati con farmaci biologici (23.656 in totale),
7.651, oltre un quarto della popolazione sotto esame, presentava uno o più
criteri di eleggibilità alla terapia biologica».
A sottolineare l’importanza nell’appropriatezza nella scelta delle
terapie è stato Marco Daperno, Segretario generale IG-IBD: «Queste malattie,
proprio per l’impatto che hanno sulla quotidianità dei pazienti, sono associate
a numerose problematiche fisiche e psicologiche, che possono anche includere
depressione e stress. Una riunione di lavoro o lo stare a tavola con la
famiglia possono diventare attività incredibilmente difficili per chi ne
soffre, che talvolta rischia il proprio posto di lavoro o un demansionamento a
causa della malattia - ha detto - . Oggi grazie ai progressi terapeutici, le
fasi acute possono essere tenute lontane per un periodo sempre più lungo, con
importanti benefici fisiologici e psicologici per i pazienti, nonché con
possibili impatti anche in termini di risparmio di interventi chirurgici e
assenze lavorative». «Ciò nonostante - ha proseguito Daperno - sembra che uno
degli approcci terapeutici adeguati, ovvero l’accesso alla terapia con farmaci
anti-TNF o biotecnologici più in generale sia proposto ai pazienti in misura
inferiore a quanto apparentemente necessario. Quanto questo possa rappresentare
un problema, peraltro già evidenziato anche in altre aree terapeutiche (come la
Reumatologia con uno studio analogo) e quanto sia utile ricercarne le cause, è
l’argomento di ricerca che attualmente si pone l’associazione scientifica
IGIBD, per poter capire se esistano barriere al trattamento di tipo normativo,
economico o di conoscenza, e per poter migliorare l’offerta terapeutica per i
pazienti italiani affetti da IBD».
«Per consentire ai pazienti di vivere la loro vita il più possibile
liberi dai sintomi, ma anche per ridurre il rischio di complicazioni e di
ricorso a interventi chirurgici nel più lungo termine è fondamentale l’accesso
a questo tipo di terapie», ha commentato Salvo Leone, direttore generale di
AMICI Onlus, che ha evidenziato anche una necessità di maggiori informazioni
indirizzate ai pazienti. «I risultati emersi dalla ricerca CliCon hanno
evidenziato una tendenza al sotto-trattamento che va sicuramente approfondita -
ha proseguito Leone -. Da un’indagine condotta da AMICI su un campione di circa
1.700 pazienti è emerso che solo il 5.7% ha rifiutato la somministrazione di un
biosimilare e il 37.22% ha dichiarato di non essere stato sufficientemente
informato dal medico che lo segue - ha concluso -. Riteniamo pertanto
necessaria una campagna di informazione e un confronto con tutti gli attori coinvolti
in modo da chiarire i dubbi dei pazienti che rappresentiamo e avere delle
risposte in merito alle cause del sotto-trattamento ed alle possibili
soluzioni».
«Lo studio presentato oggi rappresenta una nuova tappa di un percorso
che come associazione industriale abbiamo avviato nel 2018, quando abbiamo
deciso di analizzare i dati di prescrizione pubblici in un primo studio che ha
aperto la riflessione sul possibile sotto-trattamento di più patologie. È un
percorso che abbiamo portato avanti in costante dialogo con le società
scientifiche e le associazioni dei pazienti, con l’obiettivo di contribuire
all’appropriatezza prescrittiva nel settore in cui operiamo e di conseguenza
alla sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari» - ha spiegato Stefano Collatina,
coordinatore del Gruppo Italiano biosimilari di Egualia. «Ancora una volta,
come già accaduto per le malattie reumatologiche, ci troviamo faccia a faccia
con delle evidenze di sotto-trattamento e con la necessità di individuarne le
cause e le possibili soluzioni - ha proseguito -. Tra gli strumenti
indispensabili dovrebbe figurare senz’altro l’ottimizzazione dei percorsi di
cura e l’aggiornamento dei PDTA, assieme al rafforzamento dei centri
specialistici e all’aggiornamento dei medici. Ma è cruciale anche - ha concluso
Collatina - che il risparmio generato dai biosimilari possa essere reinvestito
nella medesima struttura che lo ha generato con accordi di gain sharing che
renderebbero disponibili per gli ospedali nuove risorse da destinare ad altre esigenze
di trattamento».
Per Info: www.egualia.it (Omniapress-10.5.2021)